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AUGUSTO A PIANOSA VECCHIO E MALATO? UN'ALTRA CONGETTURA EVANESCENTE [/SIZE] [/COLOR]
Michelangelo Zecchini ci regala questa bella lezione sulla relegatio di Agrippa Postumo a Pianosa, vicenda in cui la microstoria delle nostre isole si intreccia con la grande storia di Roma e della corte imperiale.
Nell'anno 4 dopo Cristo Augusto adottò contemporaneamente Tiberio (gens claudia), figlio di sua moglie Livia, e Marco Vipsiano Agrippa (gens Iulia), detto Postumo perché nato dopo la morte del padre Agrippa, grande generale che dell’ “imperatore” era stato il braccio destro militare per un’intera vita. L’adozione di Agrippa forse fu una mossa volta a riequilibrare la politica di successione, che si era sbilanciata in favore del ramo claudio allorché Augusto, nell’anno 2 a. C., aveva condannato per adulterio e tradimento sua figlia Giulia Maggiore, madre dello stesso Agrippa, alla relegazione nell’isola di Ventotene.
Nella bilancia successoria della dinastia giulio-claudia il ramo giulio perse nettamente di peso fra il 6 e il 7 d. C., anni in cui Agrippa Postumo fu “abdicato” (disadottato) e relegato prima a Sorrento e poi a Pianosa; e vide scemare ancor più il proprio potere nell’anno successivo, quando Giulia Minore, sorella di Agrippa, fu allontanata alle Tremiti, dove morì una ventina d'anni dopo. Ma se per Giulia c’era un’accusa precisa, ossia la relazione adulterina con Giunio Silano, per Agrippa non ci furono motivazioni e, secondo Tacito, la vera molla va cercata nelle trame ordite da Livia, che in Agrippa vedeva un pericoloso concorrente di Tiberio sulla strada della successione. Le parole dello storico sono chiare: “Infatti (Livia) aveva reso succube il vecchio Augusto al punto tale da convincerlo a relegare a Planasia il suo unico nipote Agrippa Postumo, certamente sprovvisto di qualsiasi preparazione culturale e scioccamente fiero della sua forza fisica, ma non riconosciuto colpevole di alcun delitto”.
In quegli anni, e negli anni successivi fino alla morte di Augusto, la corte imperiale fu scossa da intrighi, lotte di potere, situazioni adulterine, scandali, suicidi e omicidi, tentativi eversivi: il tutto occultato così bene che gli storici antichi (e quelli moderni), in disaccordo fra loro, non riuscirono a trovare il bandolo della matassa.
Non fanno eccezione le vicende di Agrippa Postumo a Pianosa. Di lui vengono tramandati aneddoti e particolari di vita poco significativi, ma scarse e nebulose sono le notizie sugli importanti episodi che, stante la sua posizione dinastica di primo piano, lo coinvolsero anche se relegato in un’isola. Dione Cassio, per esempio, compone su Agrippa un quadro negativo che lo vede iracondo e di bassa indole, uno squilibrato che si proclama Nettuno e che si dedica solo alla pesca. E Velleio Patercolo ne dipinge con precisione la follia. Ma la realtà dovette essere un po’ diversa: con ogni probabilità Agrippa fu consapevole e partecipe delle non sopite aspirazioni alla successione da parte della ‘fazione’ giulia, che allora faceva capo a Giulia Minore. È difficile credere, per esempio, che Agrippa fosse all’oscuro del complotto poi fallito (ce ne parla Svetonio), organizzato da Lucio Audasio e Asinio Epicado, che prevedeva il rapimento suo e di sua madre Giulia Maggiore e, subito dopo, il loro trasferimento alla testa degli eserciti di stanza in Germania. Altrettanto arduo è ritenere che egli non sapesse niente del progetto dello schiavo Clemente, alle cui spalle c’erano personaggi influenti, volto a liberarlo e a scortarlo presso le legioni germaniche. Il caso volle che il piano non andasse a buon fine: il ritardo della nave oneraria diretta a Pianosa consentì al sicario di arrivare prima, di sorprendere Agrippa inerme e di ucciderlo. La responsabilità dell’assassinio è incerta: mentre secondo Tacito l’ordine partì da Tiberio e da Livia, secondo Svetonio fu dato da Livia in nome di Augusto; Dione Cassio, poi, pensa che il mandante sia stato Tiberio.
Ancora più fluttuanti sono le notizie sul viaggio di Augusto a Pianosa, che sarebbe avvenuto appena tre mesi prima della sua morte (19 agosto 14 d. C.). La salute di Augusto da tempo stava peggiorando, a tal punto che c’era chi sospettava un tentato delitto da parte della moglie Livia. Così racconta Tacito quasi a rafforzare i forti dubbi sull’effettiva partenza di Augusto alla volta di Planasia. Ma sentiamo come lo storico continua la sua narrazione: “Si era diffusa la voce che Augusto pochi mesi prima, avendo come compagno il solo Fabio Massimo, si fosse recato a Pianosa per vedere Agrippa; lì molte lacrime e segni di affetto e la speranza che il giovane venisse restituito alla casa avita…”. Coloro, fra gli studiosi contemporanei, che propendono per la storicità della visita di Augusto al nipote, citano come conferma indiretta gli Acta Fratrum Arvalium: Augusto e Fabio Massimo - sottolineano - erano assenti il 14 maggio del 14 d. C., allorché in seno a quel collegio sacerdotale si doveva decidere la cooptazione di Druso, figlio di Tiberio. Il loro parere favorevole arrivò con una lettera perché - si deduce un po’ semplicisticamente - erano in viaggio per Pianosa. A parte il fatto che la loro mancanza fisica alla riunione non significa che si trovassero lontani da Roma, occorre rilevare che non era presente neppure Tiberio, pur trattandosi di una questione che lo riguardava direttamente.
A mio avviso è più centrata l’opinione di Ludovico Antonio Muratori, anche se risale a più di due secoli e mezzo fa: “Ma non par già verisimile che Augusto sì vecchio volesse prendersi lo incomodo di arrivare fino alla Pianosa… L’affetto poi dimostrato da Augusto sul finire di sua vita alla medesima Livia e a Tiberio… non lascia trasparire segno di affezione di esso Augusto verso il nipote Agrippa”. Del resto, come si è visto, anche la testimonianza di Tacito mostra un’angolazione non dissimile: lo storico, infatti, non crede al viaggio segreto di Augusto a Pianosa, che non esita a definire ‘rumor’, dicerie.
Come siano andate veramente le cose non lo sapeva Tacito circa 1900 anni fa, non lo sappiamo oggi e forse non lo si saprà mai. Ma, allo stato attuale delle conoscenze, a me pare che le argomentazioni di Tacito e di Muratori siano più plausibili: il trasferimento a Pianosa di un Augusto vecchio (settantaseienne, un’età ragguardevole per l’epoca), debilitato dalla malattia e privo di forti motivazioni per muoversi, è da inserire, insieme con l’ipotesi di Ovidio e Valerio Messalla all’Elba, nell’ambito delle congetture alquanto evanescenti.
Michelangelo Zecchini
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