Italia-Cina: gli affari più forti dei diritti civili
di Teodoro Buontempo
Con l’occasione del G8, Italia e Cina si sono ritrovate vicine, a braccetto, lungo la strada dello sviluppo economico e imprenditoriale.
Il presidente cinese Hu Jintao è stato accolto con tutti gli onori, come da protocollo e secondo cerimoniale. Mentre in Cina il governo metteva in atto una violenta repressione che provocava centinaia di morti e migliaia di feriti, in Italia il premier cinese, da un palazzo all’altro delle istituzioni, veniva accolto con simpatia, abbracciato, elogiato e riverito dai tanti imprenditori presenti.
Colloqui importanti, è stato detto, utili e necessari per migliorare le rispettive economie. Non c’è dubbio, ne siamo consapevoli, visto anche il recente accordo tra la Fiat e la Gac (un accordo da 400 milioni di dollari), con la nascita di una joint venture per la produzione dalla seconda metà del 2011 di automobili e motori per il mercato cinese. In tutto sono 38 gli accordi finanziari e industriali siglati fra aziende italiane e cinesi in occasione del Forum economico Italia-Cina, per un valore di circa 2 miliardi di dollari.
Tutto questo può però giustificare che in Italia nessuno abbia alzato la voce in difesa di quei giovani che reclamano più libertà e rispetto dei diritti umani? Un buon affare per gli imprenditori italiani può consentire di esorcizzare la strage di piazza Tienanmen?
E la stessa comunità europea può continuare a restare in silenzio, mentre nelle carceri cinesi vi sono migliaia e migliaia di detenuti calpestati nella loro dignità umana e che rischiano la pena di morte, pur trattandosi di detenuti politici?
Del resto, alla Cina si consente anche di poter impunemente inquinare l’atmosfera senza che nel G8 si sia levata una sola voce di protesta, anche per rispetto dei cittadini italiani ed europei che vengono illusi per un impegno che non sarà mai portato a termine se i grandi inquinatori continueranno a poter fare affari con il mondo libero.
E sarà anche vero che “la Cina ha intenzione di investire 100 miliardi di dollari in Europa”, ma quale sarà il costo economico, ambientale e in vite umane se in cambio di quegli investimenti non si obbliga la Cina a rispettare le regole per difendere l’ambiente?
I prodotti cinesi hanno un costo inferiore a quelli europei non solo perché lì non c’è rispetto della dignità umana nei posto di lavoro, ma anche perché il governo di quel Paese non investe nel contenimento delle emissioni nocive, con un costo di produzione ovviamente inferiore.
Come giudicare, poi, il fatto che, dopo gli scontri etnici scoppiati nella regione cinese del Xinjiang, nel vertice di villa Madama col presidente del Consiglio, funzionari del governo italiano – secondo fonti di agenzia – hanno chiesto ai giornalisti di non porre domande sul rispetto dei diritti civili al presidente cinese, nel trasparente tentativo di non fargli cosa sgradita?
Non è forse giunto il momento in cui i paesi industrializzati con popoli liberi debbano cominciare a valutare l’ipotesi di non far entrare nel proprio paese prodotti per la cui lavorazione industriale non siano state rispettati i diritti universalmente riconosciuti per i lavoratori, la loro protezione sanitaria e pensionistica e il divieto assoluto di utilizzare i minori?
Senza queste regole, i vari “G8” rischiano di fallire e trasformarsi in uno spettacolo fine a sé stesso
venerdì, 10 luglio 2009