A quanto pare Pianosa, grazie a intendimenti politici bipartisan, si avvia a diventare la regina delle carceri italiane. “Fatal terra, gli estrani ricevi”, verrebbe da dire col Manzoni, sottolineando il fatto che la perla del Tirreno sembra destinata da sempre, ciclicamente, a dover rinunciare alla propria vocazione naturale – la bellezza – per trasformarsi in gabbia per detenuti di rango. Le era successo anche duemila anni fa, allorché fu militarizzata per sorvegliare la ‘relegatio’ dell’ ingombrante Agrippa Postumo, nipote di Augusto, inviso in quel momento al potere imperiale.
A mio avviso la reazione locale e regionale alla proposta di riedizione carceraria dell’isola piatta è stata alquanto sommessa e tiepida, in ordine sparso e di routine, come se non dovesse turbare più di tanto chi a Roma sta lavorando. Tutti noi abbiamo assistito a battaglie ben più convinte per fini molto meno nobili. E dalla Capitale non mi pare che qualcuno dei big, di destra o di sinistra o di centro, abbia levato la propria voce in favore di un’Isola che, ‘carcerizzata’, sarebbe condannata a morire.
Mario Tozzi, minacciando di incatenarsi – che lo faccia o no poco importa -, ha indicato con intelligente simbolismo che è il momento di usare toni così forti da far sentire il problema a chi può ancora impedire l’ ennesima metamorfosi di Pianosa da isola degli angeli a isola del diavolo.
Altrettanto sensato è il suggerimento di Giovanni Fratini affinché si percorra la strada della mobilitazione, perché la riduzione di Pianosa da cuore di un Parco Nazionale a sede di un carcere duro deve essere considerata una perdita non inferiore alla chiusura di una fabbrica o al trasferimento di un importante ufficio pubblico.
Né meno lodevole è l’esortazione di Yuri Tiberto, sempre più vicino alla saggezza di Epicuro, affinché facciamo la voce grossa e induciamo “chi di dovere a capire che Pianosa è nostra, e non ce la faremo rubare da nessuno”.
Anche se in cuor mio mi auguro di sbagliare, credo tuttavia che nessuno dei tre suddetti personaggi farà breccia : appare improbabile che dagli isolani dell’Arcipelago e dai continentali toscani – mutuando ancora un’immagine manzoniana – “ S'oda a destra uno squillo di tromba e a sinistra risponda uno squillo”, nel senso di un deciso no, corale, alla proposta quantomeno anacronistica di carcerizzare e cancerizzare una fra le più belle isole del Mediterraneo.
E allora cerchiamo di essere realisti. Che poi significa, in parole povere, adagiarsi sull’onda comoda dell’ abbandono alla volontà altrui. Potremmo perfino dimostrare, dal basso della nostra autoctonia inacculturata, di trovarci all’ avanguardia facendo proposte al passo con i tempi. Assodato che il Parco è un ostacolo al progresso, atteso che un’economia turistica basata sulle bellezze ambientali dà inequivocabili segni di sofferenza, mediante una petizione plebiscitaria potremmo ancorare l’intero Arcipelago all’indotto dell’economia carceraria specializzata : Pianosa alla mafia, Capraia alla ‘ndrangheta, Giglio alla camorra, Gorgona alla sacra corona unita, Montecristo e Giannutri alle più pericolose bande del centro-nord. E l’Elba ? Ovviamente da rafforzare secondo un equilibrato orientamento carcerario che, adottando la politica del ‘ je m’en fiche’ ( ‘me ne infischio’ ) nei confronti di obsoleti vincoli storico-architettonici, preveda l’utilizzo rieducativo della Fortezza Spagnola di Porto Azzurro a est, delle Fortezze Medicee di Portoferraio al centro, della Fortezza Pisana di Marciana a ovest. Tutte pronte e intercambiabili per ricevere la malavita d’importazione.
[COLOR=darkblue]Michelangelo Zecchini [/COLOR]