Non riesco a comportarmi allo stesso modo allorché entro in luoghi che dovrebbero trasmettere cultura, come gallerie e musei pubblici. In quei casi divento concentrato e pronto a imparare, esigente e pignolo.
Il mio ultimo giorno delle vacanze elbane 2008 l’ho dedicato alla visita delle esposizioni culturali portoferraiesi. Sono salito ai Mulini e mi sono goduto la mostra “Napoleone, fasto imperiale”. Squisito il personale di custodia, curata la presentazione dei manufatti, ottimo il catalogo. Poi sono sceso alla De Laugier e ho potuto apprezzare non solo la rassegna sulla cartografia elbana “ Dal mito alla storia”, ma anche la preparazione e la disponibilità degli addetti. Non c’è due senza tre, ho pensato, e mi sono avviato verso il Museo Civico Archeologico della Linguella. Dove, contrariamente alle mie aspettative, è cascato l’asino, per usare un’espressione che, come vedremo, più calzante non si può.
Al Museo della Linguella l’imprevisto ti fulmina appena entri, sulla destra. Lì ci sono pannelli didattici, elaborati da uno o più specialisti del settore. Arrivato alla terza tabella informativa leggi, per un po’ annuisci e poi ti fermi di colpo perché ti trovi davanti al naso una frase non equivocabile : “ bisogna segnalare il rinvenimento nell’isola d’Elba ( Loc. Patresi ) di due anfore fenice”. Non puoi fare a meno di inforcare gli occhiali : anfore ‘fenice’ è scritto senza la i. Pensi subito a un lapsus calami, ma ti accorgi che non lo è : quella prelibatezza linguistica si è sedimentata nel museo per circa venti anni e se nessuno si è preso la briga di correggerla è perché – evidentemente – si è convinti che vada bene così. E allora, sorridendo amaramente, consideri che evitare la cantonata non sarebbe stato poi troppo difficile, almeno non quanto cercare l’araba fenice, questa sì da scrivere senza la i.
Tentare un rattoppo giustificativo sarebbe fuori luogo : siamo di fronte, infatti, non a ragazzini delle scuole medie, ma a professionisti nel campo degli studi classici. Di fatto non è stata applicata la regolina d’età puberale relativa al plurale dei nomi terminanti in -cia e -gia, né è stato utilizzato, onde evitare lo scivolone ortografico, un procedimento fin troppo elementare se rapportato a un bagaglio culturale di tipo ‘classico’. Mi spiego meglio : partendo dal corrispondente attributo latino phoenicius, sarebbe stato oltremodo facile isolare la radice e aggiungere la desinenza del nominativo femminile plurale ‘-ae’. Da lì sarebbe stato un giochino da ragazzi tramutare il latino phoeniciae nell’italiano fenicie, con la i.
Non posso esimermi dal fare voti affinché il Sindaco provveda a una prudente verifica degli scritti, evitando per il futuro sbeffeggiamenti da parte di scolaretti e non. Il sottoscritto fa presente che, deluso e contrariato, si è fermato all’analisi del terzo pannello, ragion per cui non esclude che possano essere scoperte altre delizie grammaticali.
Leggo nel testo on line elaborato dal “ Civico Museo della Linguella” che i reperti archeologici sono “ ordinati secondo una linea storica-topografica” e che le vetrine sono “accompagnate da pannelli didattici che introducono alla visione dei singoli pezzi”. Non è precisato chi ha redatto i testi e perciò prego un Signor Qualcuno affinché mi sveli l’arcano.
Se corrispondesse al vero che l’autore è ‘uno di fuori’, come mi è stato riferito, il sottoscritto consiglierebbe di ricorrere – schivando fari e lumi alloctoni – all’aiuto di qualche dotto personaggio portoferraiese. Uno a caso, fra i molti che hanno avuto la fortuna di frequentare, per esempio, le aule del prestigioso Liceo Classico Foresi e di istruirsi all’alto magistero di docenti indimenticabili quali Alfonso Preziosi, Uberto Lupi e Licia Baldi.
[COLOR=darkblue]Michelangelo Zecchini
Archeologo[/COLOR]