LETTERA APERTA A LEGAMBIENTE E AL DIRETTORE DI ELBAREPORT.
[COLOR=darkred][SIZE=4]“I CASI DEL BAMBU’ E DEI PARCHEGGI ABUSIVI SULLA PUNTA DI FETOVAIA NEL PARCO SONO DUE ESEMPI DI QUEL “DOPPIOPESISMO” CHE HA ROVINATO L’ITALIA E FETOVAIA”. [/SIZE] [/COLOR]
Egregio Direttore Sergio Rossi,
Le scrivo dopo anni per aver letto sul Suo giornale le “congratulazioni” di Legambiente al Comune di Campo nell’Elba per l’abbattimento del Bambù a Fetovaia (l’ex stabilimento balneare Giglio Elbano). La mia versione sulla vicenda l’hanno pubblicata “Camminando.org” e “Il Tirreno” domenica scorsa, ma non il suo giornale e dunque ci riprovo.
Lo stabilimento balneare “Giglio Elbano” su terreno privato che comprendeva il Bambù fu edificato da mio padre con licenza edilizia (la n°64 del 1971), ma ampliato in difformità di essa e quindi negato di condono e acquisito al patrimonio comunale per essere abbattuto. Il Consiglio di Stato - nonostante il Bambù fosse munito di licenze comunali edilizia, di ristorazione e di agibilità - sentenziò che il diniego di condono della commissione edilizia comunale era legittimo e “insindacabile in quanto espressione del potere autoritativo della Pubblica Amministrazione”. Il diniego era motivato con la “pessima qualità dei manufatti rispetto al pregio dell’ambiente circostante” e pazienza se il Bambù fosse un elegante ristorante con musica live e l’ambiente circostante costituito da parcheggi, stabilimenti balneari e vasche di pompaggio della fognatura pubblica. Così la burocrazia ha difeso l’operato della burocrazia e il Bambù è rimasto a marcire sotto gli occhi di tutti 24 anni. Passati 20 anni, nel 2013 la società che ne ha acquisito i diritti di causa ha chiesto la sua restituzione o la revisione della pratica di condono, depositando al TAR perizie che dimostrano che l’edificio era sanabile sotto il profilo edilizio urbanistico (perizia Tecne 2000) e idraulico (studio INGEO), allora come oggi. Altro che abusi vergognosi e insanabili. Da quel momento il Comune ha fatto di tutto per abbatterlo. C’è riuscito perché il TAR lo scorso giugno ha preferito non entrare nel merito della vicenda e sentenziare che la nostra società non aveva la legittimazione attiva a chiedere la restituzione di immobili altrui (della Giglio Elbano). Dimostreremo il contrario in Consiglio di Stato. Così i turisti di Fetovaia hanno perso l’ultima speranza di riavere in spiaggia un punto di ristoro alternativo al self service del Pino Solitario, un caso di monopolio unico all’Elba. La vicina spiaggia di Cavoli può contare su quattro esercizi in concorrenza fra loro e così tutte le più note spiagge elbane, com’è normale che sia. Ma questo a Legambiente e Lei non può interessare. A completare il “paradosso” c’è il caso opposto del concorrente Pino Solitario, edificato senza alcuna licenza edilizia sull’arenile demaniale inedificabile a spese del famoso “lilium pancratium” che caratterizza Fetovaia - il giglio marino selvatico tanto amato da Legambiente e tutti noi. Il gigantesco self service del Pino Solitario su due piani fu ingiunto di demolizione e acquisito al Demanio, ma poi condonato con concessione a sanatoria n°84/1981 e reso in concessione demaniale alla proprietà. Anche le retrostanti strutture abusive dello stabilimento balneare Pino Solitario su terreno privato (a mt. 10 dal Bambù sulla stessa area edificabile) furono condonate con concessione a sanatoria n°486/2000. La morale della “favola” è che il Bambù realizzato su terreno privato in difformità di licenza edilizia è divenuto l’ecomostro da abbattere con gli applausi di Legambiente, mentre l’ecomostro realizzato abusivamente sull’arenile demaniale è stato legittimato e reso ai proprietari. Nel 2014 la nostra Barbatoja 1961 srl (titolare dello stabilimento balneare autorizzato dalle Belle Arti nel 1961) ha chiesto per par condicio lo stesso trattamento al Comune, che ha rifiutato. In vista della demolizione, ho allora formalmente proposto al Sindaco e all’intero Consiglio Comunale (il 27 giugno 2018) di realizzare a nostre spese - al posto del Bambù - gabinetti, docce e una piscina naturale in granito pubblici per risolvere i problemi di Fetovaia e allungare la stagione turistica, ma la risposta pare sia stato l’ordine di demolizione. Il Sindaco ha dichiarato che verranno realizzati posti auto (una quindicina) con buona pace dell’ambiente pregiato che avrebbe dovuto ripristinare. Ma questo a Legambiente e al Suo giornale immagino non interessi, viste le congratulazioni al Comune.
Come non Vi interessò nel 2013 lo scandalo dello scempio ambientale realizzato dal Comune sulla Punta di Fetovaia, dove le ruspe sbancarono migliaia di metri quadrati di macchia mediterranea per realizzare dei parcheggi nel Parco protetto. Senza alcuna autorizzazione, né del Parco, nè della Soprintendenza di Pisa, né dei proprietari, tra i quali chi scrive. E’ quanto accertato dalle indagini della magistratura e della Guardia Forestale, dopo l’intervento del WWF Italia e del leader dei Verdi Bonelli – veri ambientalisti – il quale depositò una interrogazione parlamentare all’attenzione del Ministro dell’Ambiente. Com’è ricorderà lo scandalo salì alla ribalta dei TG e della stampa nazionali. E Legambiente e il Suo giornale? “zitti come li topi!” come Lei ama scrivere quando fa il moralista. La vicenda si è poi conclusa “all’Italiana”, con i responsabili impuniti per prescrizione. Così ha sentenziato il GIP Beatrice Dani nella sentenza depositata il 7 agosto 2015 della quale riproduco la conclusione: “ Le opere poste in essere, a prescindere dalla loro consistenza e qualificazione in una vera e propria manutenzione straordinaria o meramente ordinaria dell’area pubblica, potrebbero al più integrare la contravvenzione di cui al D.Lvo n°42/2006 (e non dell’art. 44 DPR 380/01 giusto il disposto dell’art. 7 decr. Cit. trattandosi di opere pubbliche), ma con inevitabile prescrizione del reato per le opere che fossero state eventualmente poste in essere nel 2012, mentre le restanti risultano tutte già coperte da prescrizione; come detto, la prescrizione di eventuali reati non pregiudica l’eventuale tutela del Martinenghi in sede civile per un’invasione apprezzabile dell’area in comproprietà”. Tutela in sede civile che non ho richiesto, perché il mio intento non era portare a casa soldi per danni, ma proteggere la Punta di Fetovaia ed il Parco da uno scempio ambientale. Se la potente Legambiente e il giornale da Lei diretto non Vi foste voltati dall’altra parte probabilmente ci saremmo riusciti.
Cordialmente Suo,
Stefano Martinenghi
Proprietario Barbatoja 1961 srl