[COLOR=darkblue][SIZE=4]LA PROFESSORESSA ATERINI DELL’UNIVERSITÀ DI FIRENZE: L’IPOGEO DI MARCIANA NON È UNA NEVIERA [/SIZE] [/COLOR]
L'ipogeo di Marciana continua ad attrarre interessi accademici di alto livello. Per primo espose il suo parere il Prof. Francesco Mallegni, ordinario di antropologia all'Università di Pisa: “Macché zecca, macché neviera!”, sentenziò il professore.
Poi fu la volta della Prof.ssa Lucia Travaini dell'Università di Milano, un'esperta internazionale di zecche e di monete, che bocciò senza appello l'ipotesi zecca ritenendola frutto della fantasia. Oggi interviene la Prof.ssa Barbara Aterini, presidente del corso di laurea in Scienze dell'Architettura presso l'Ateneo di Firenze: la docente affonda l'ipotesi neviera. Leggiamo come risponde a una precisa domanda.
A Marciana, nell'isola d'Elba, esiste un ipogeo a forma di croce costruito estraendo circa 200 tonnellate di dura roccia granitica. Secondo la funzionaria Alderighi, della soprintendenza di Pisa, si tratterebbe di una neviera costruita dagli Appiani, Principi di Piombino, e sarebbe simile alla neviera di Masi Torello (Ferrara). Tale ipotesi secondo lei è accettabile?
“Ho avuto la fortuna di poter visitare l’ipogeo in questione” - sottolinea la professoressa Aterini - “e posso affermare, senza ombra di dubbio, che non è e non può essere stata una neviera o una ghiacciaia. Le ragioni sono molteplici: mancano tutte le caratteristiche necessarie al funzionamento di una neviera, prima fra tutte la circolazione dell’aria. Infatti scendendo dentro l’ipogeo di Marciana se ne avverte subito la mancanza, perciò sarebbe impossibile conservarvi il ghiaccio. Inoltre la sua forma è completamente differente da qualsiasi altra ghiacciaia conosciuta, non solo in Italia ma, potrei dire, nel mondo. Le caratteristiche tipologiche, che ho elencato nel mio libro “ Le ghiacciaie: architetture dimenticate” edito nel 2007, non sono assolutamente rispettate. Inoltre non esiste un sistema di smaltimento delle acque di fusione”.
“La neviera di Masi Torello, ubicata nei possedimenti di un antico monastero, rispetta planimetricamente la tipologia della ghiacciaia, interrata in una collina artificiale, a sezione circolare e coperta con cupola, presentando analogie con molte altre ghiacciaie conosciute. È, però, evidente che non ha niente in comune con l’ipogeo di Marciana, né per forma né per geometria. Anche il materiale è molto diverso; infatti questa è stata realizzata in mattoni, mentre l’ipogeo elbano è stato scavato in una roccia granitica”.
“Nell’ipogeo di Marciana manca del tutto la cosiddetta ‘camera del ghiaccio’ che, in genere, si presenta a pianta circolare e con la parte interrata a sezione tronco-conica.
Una cosa posso dichiarare con convinzione, data l’esperienza in materia: quello di Marciana non è né una ghiacciaia né una neviera. E lo dico a ragion veduta poiché non solo conosco ed ho rilevato moltissime ghiacciaie, ma, come già detto, ho anche visitato l’ipogeo all’Elba”.
Devo dire che non riesco proprio a spiegarmi il tipo di ragionamento della funzionaria della Soprintendenza. Posso capire la difficoltà di chi architetto non è e, quindi, stenta a distinguere tipologicamente una costruzione da un’altra, ma in questo caso è palese che non esiste la benché minima somiglianza fra i due oggetti in questione. Qualsiasi affermazione dovrebbe basarsi sulla conoscenza diretta degli oggetti costruiti, ma soprattutto è necessario, prima di fare riferimenti, mantenere un’onesta scientificità che deriva proprio dalla comprensione di ciò che vediamo.
Vorrei aggiungere soltanto una riflessione sull’ipogeo elbano, considerazione che faccio sulla base di planimetrie viste anche in mano a colleghi archeologi con i quali ho collaborato. Potrei dire, a prima vista, che somiglia molto di più, almeno planimetricamente, ad una tomba etrusca”.
“Un’ultima considerazione: il materiale lapideo pregiato, tanto difficile da scavare, e così ben levigato, ne sottolinea l’importanza. In altre parole il fatto che l'ipogeo sia stato scavato con difficoltà, in una pietra tanto dura e con un immane lavoro, denota la rilevanza della sua funzione religiosa o celebrativa che fosse”.
Alberto Zei