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X Pino - residenza da X Pino - residenza pubblicato il 30 Settembre 2017 alle 14:02
Da: [COLOR=darkblue][SIZE=4] "IL DIRITTO ALLA RESIDENZA: UN CONFRONTO TRA PRINCIPI GENERALI, CATEGORIE CIVILISTICHE E PROCEDURE ANAGRAFICHE [/SIZE] [/COLOR] di Paolo Morozzo della Rocca in Il diritto di famiglia e delle persone, Giuffré Ed., 2003/4, 1013" "... Ne è ben consapevole il Ministero dell’Interno, che infatti ha segnalato l’illegittimità di alcune prassi comunali tendenti a condizionare l’iscrizione anagrafica alla dimostrazione di alcuni requisiti del domicilio, quali: lo svolgimento di un’attività lavorativa, la disponibilità di abitazione, l’iscrizione degli altri componenti il nucleo familiare e in alcuni casi persino l’inesistenza di precedenti penali. A questo riguardo, la lettura di alcuni brevi passi della Circolare del Ministero dell’Interno del 29 maggio 1995 n. 8, pu`o essere particolarmente chiarificatrice e pertanto la propongo: ‘La richiesta di iscrizione anagrafica, che costituisce un diritto soggettivo del cittadino – dice la circolare – non appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il contrario, in quanto in tal modo si verrebbe a limitare la libertà di spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale in palese violazione dell’art. 16 della Carta costituzionale. Alla luce delle suesposte considerazioni, appaiono pertanto contrari alla legge e lesivi dei diritti dei cittadini, quei comportamenti adottati da alcune amministrazioni comunali che, nell’esaminare le richieste di iscrizione anagrafica, chiedono una documentazione comprovante lo svolgimento di attività lavorativa sul territorio comunale, ovvero disponibilità di un’abitazione, e magari, nel caso di persone coniugate, la contemporanea iscrizione di tutti i componenti il nucleo famigliare, ovvero procedono all’accertamento e/o dell’eventuale esistenza di precedenti penali a carico del richiedente l’iscrizione. Tali comportamenti sembrano richiamare in vigore quei provvedimenti contro l’urbanesimo, risalenti alla l. 6 luglio 1939 n. 1092, che venne abrogata con successiva l. 10 febbraio 1961 n. 5’. La circolare conclude rilevando che ‘La funzione dell’anagrafe `e essenzialmente di rilevare la presenza stabile, comunque situata, di soggetti sul territorio comunale, né tale funzione può essere alterata dalla preoccupazione di tutelare altri interessi anch’essi degni di considerazione, quali ad esempio l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica, per la cui tutela dovranno essere azionati idonei strumenti giuridici diversi tuttavia da quello anagrafico’. 5. Un secondo, fondamentale, snodo disciplinare del diritto alla residenza anagrafica `e costituito dalle modalità di verifica delle dichiarazioni del cittadino in sede di accertamento o preaccertamento dell’effettività della sua presenza sul territorio comunale. E' facile osservare, infatti, che una politica in concreto contraria alla residenzialità può ben esprimersi attraverso atteggiamenti amministrativi eccessivamente inflessibili e sospettosi. Sappiamo, ad esempio, che normalmente il cittadino richiedente l’iscrizione viene richiesta l’esibizione di certificazioni improprie (bollette, ricevute, contratti di servizio luce, gas, acqua, telefono, modulo di cessione fabbricato e altro). Si tratta di espedienti utili, a volte, a facilitare o sostituire il preaccertamento da parte del vigile informatore, ma non è assolutamente legittimo subordinare n´e la proposizione della richiesta di iscrizione anagrafica, né il suo accoglimento alla esibizione di queste certificazioni, dato che né la legge né il regolamento anagrafico le richiedono. D’altronde non è difficile scorgere le ragioni dell’inopportuna richiesta in quella furbizia prevaricatrice che spesso, purtroppo, caratterizza le amministrazioni di meno elevata tradizione pretendendo dal cittadino l’esibizione del bollettino di pagamento della tassa sui rifiuti come condizione di ricevibilità della richiesta di iscrizione anagrafica, l’amministrazione comunale compie infatti un ricatto, opponendo ad un inadempimento tributario un diverso, eterogeneo ed assai più grave inadempimento, ..." E ANCORA: Anche la Corte UE, come detto, sposa questa tesi. Si vede in particolare la sentenza 12 luglio 2001 in causa C-262/99, Louloudakis, che testualmente recita: “osì, l’art. 7, n. 1, della direttiva prevede la presa in considerazione sia dei legami professionali sia dei legami personali in un dato luogo e va interpretato nel senso che, qualora una valutazione globale dei legami professionali e personali non sia sufficiente ad individuare il centro permanente degli interessi di una persona, ai fini di tale individuazione va data preminenza ai legami personali”. D’altro canto la normativa sovranazionale non lascia molta discrezionalità. L’articolo citato della direttiva del 1983 (e precisamente l’Articolo 7, rubricato: “Norme generali per la determinazione della residenza”) così dispone: “Ai fini dell’applicazione della presente direttiva, si intende per «residenza normale» il luogo in cui una persona dimora abitualmente, ossia durante almeno 185 giorni all’anno, a motivo di legami personali e professionali oppure, nel caso di una persona senza legami professionali, a motivo di legami personali che rivelano l’esistenza di una stretta correlazione tra la persona in questione e il luogo in cui abita. Tuttavia, nel caso di una persona i cui legami professionali siano risultati in un luogo diverso da quello dei suoi legami personali e che pertanto sia indotta a soggiornare alternativamente in luoghi diversi situati in due o più Stati membri, si presume che la residenza normale sia quella del luogo dei legami personali, purché tale persona vi ritorni regolarmente”. Quindi, per esempio, sono nato a Capoliveri, lavoro e abito a Milano, ma torno spesso al paesello, ho diritto alla residenza a Capoliveri!!!
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