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Michelangelo Zecchini da Michelangelo Zecchini pubblicato il 21 Aprile 2017 alle 13:54
[COLOR=darkblue][SIZE=5]OMAGGIO A GIORGIO MONACO, ARCHEOLOGO E GENTILUOMO [/SIZE] [/COLOR] Correva il mese di giugno del 1965. Mi recavo a giorni alterni a Valle dell'Inferno (Lacona), allora connotata da una distesa di campi degradanti su un mare di smeraldo. In mezzo alla valle svettava un pino che sembrava volermi dare indicazioni per il mio lavoro. E infatti โ€“ manna per la mia tesi di laurea sulla preistoria dell'Elba โ€“ nei pressi rinvenni un fondo di capanna del paleolitico superiore con numerosi manufatti litici risalenti a circa 20 mila anni fa. La zona era da qualche anno all'attenzione pubblica perchรฉ il prof. Giorgio Monaco, ispettore dell'allora soprintendenza alle antichitร  d'Etruria, vi aveva scoperto un singolare insieme geometrico di strutture murarie, con pianta a trapezi contrapposti, che lui riteneva della fine dell'etร  del bronzo. Monaco conosceva l'isola come le sue tasche perchรฉ l'aveva girata quasi tutta pedibus calcantibus, come amava dire lui. Non era certo un archeologo da tavolino: un giorno scavava a 850 di altitudine sulla sella del Monte Giove, il giorno dopo potevi trovarlo a esplorare l'area di Cima del Monte. Il suo amore per la ricerca archeologica e per l'Elba lo aveva spronato a 'chiamare' sull'isola alcuni fra i migliori studiosi del momento, da Nino Lamboglia per l'archeologia sottomarina ad Antonio Radmilli per la paletnologia. I piรน bei successi dell'archeologia elbana (grotta eneolitica di S. Giuseppe presso Rio Marina, villaggio dell'etร  del bronzo alla Madonna del Monte, relitti di Procchio e di Chiessi, ecc.), risalgono proprio a quel periodo e sono dovuti in gran parte alla sua instancabile attivitร . Monaco si avvaleva anche di una rete di giovani collaboratori elbani che faceva partecipi, non di rado per via epistolare, delle sue scoperte, delle sue gioie e dei suoi timori. Fra questi ultimi spiccava, per l'appunto, il 'caso' Valle dell'Inferno, dove Monaco era sicuro di aver trovato un villaggio preistorico databile intorno al 1000 avanti Cristo. Sulla valle dell'Inferno avevano indirizzato le loro brame personaggi dell'edilizia, i quali vedevano ovviamente le ricerche archeologiche come il fumo negli occhi. La 'contesa' corse sui binari di una corretta discussione, in cui Monaco, funzionario e gentiluomo, accettรฒ le conclusioni contrarie di altri studiosi e mai tentรฒ di far prevalere la propria opinione usando i poteri, anche decisionali, a lui attribuiti dal suo ruolo di ispettore per le antichitร . Involontariamente (e incolpevolmente) forse detti una mano ai suoi avversari. Il mio professore, Radmilli, non esistendo ancora la prova provata dell'alta antichitร  dichiarata da Monaco, mi inviรฒ sul sito, dove oramai ero di casa, per un accertamento stratigrafico. Da solo, piccone e paletta alla mano, feci un piccolo saggio di scavo (metri 1,20 x 1,20, profonditร  90 cm) a ridosso di una struttura muraria, con la speranza di scoprire nella fossa di fondazione qualche reperto che convalidasse l'ipotesi di Monaco. Ma non trovai niente. E lo scrissi. Anche se uno scavo cosรฌ modesto contava poco ai fini scientifici, la mia relazione probabilmente contribuรฌ a orientare scelte e decisioni. Seguรฌ il via libera alla speculazione edilizia, che Monaco ritenne - e me lo confidรฒ con amarezza - non una sconfitta personale ma un danno per sempre alla storia e all'ambiente di quell'angolo di paradiso. Oggi, analizzando una sua nota manoscritta sul Volterraio a me inviata nel 1968, mi rendo conto che talora la preparazione e l'intuito di Monaco precorrevano i tempi permettendogli di 'vedere' ciรฒ che altri non riuscivano a comprendere. Faccio un esempio. In quegli appunti, a quanto mi risulta inediti, Monaco descriveva frammenti di coppe in ceramica recuperati immediatamente all'esterno delle mura del forte. Secondo alcuni erano semplici cocci dalla cronologia indistinta, per lui, al contrario, importanti reperti medievali. La descrizione (motivo a croce in ramina), la datazione (inizi del XV secolo) e la zona di fabbricazione (Pisa), da lui proposte, erano esatte e precedevano di un decennio concetti espressi nella prima classificazione della maiolica arcaica di manifattura pisana (G. Berti - L. Tongiorgi, Ceramica pisana, secoli XIII-XV, 1978). Altro esempio: sotto il Volterraio, nel bosco, Monaco scoprรฌ una tomba molto lacunosa, di cui rimanevano un pezzetto di muro e un lastrone di copertura. Dentro c'erano un unico frammento di orcio โ€œprotovillanovianoโ€ (IX sec. a. C.), pochi frustoli di ossa umane combuste e alcune scorie di rame. Pochi indizi, ma sufficienti per convincerlo che all'Elba, in epoca protostorica, venivano lavorati oggetti di bronzo. Un'intuizione di quasi 50 anni fa. Alcuni studiosi non riescono ad arrivarci nemmeno oggi. Forse Monaco aveva ragione anche sul villaggio preistorico di Valle dell' Inferno, di cui, purtroppo, restano solo brandelli di muri. Michelangelo Zecchini
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