[COLOR=darkblue][SIZE=5]DALLA CRONACA DI TUTTI I GIORNI…. [/SIZE] [/COLOR]
Un giovane con un amico massacra i genitori a colpi d’ascia, Una madre mette nel biberon della figlia di soli tre anni psicofarmaci letali, giovani ragazze vengono date alle fiamme da compagni intolleranti, orchi che violentano bambini inermi, e poi si spara non contando le migliaia di vittime del terrorismo …ma questa è solo una sintesi della nostra quotidianità……..
Immediatamente nei nostri opinionisti e nei falsi perbenisti scatta la dietrologia del pietismo, mirata a capire, assolvere, cercare il male oscuro annidato nell’animo. La nostra TV nazionale senza nessun pudore si appropria dell’avvenimento più cruento e lo dibatte pubblicamente in prima serata. Mentre dall’altra parte la legge li mette fuori con una clausola incomprensibile.
E immancabilmente arriviamo alla scoperta che dietro il gesto criminale c’è la violenza della famiglia, la latitanza delle istituzioni, l’infanzia infelice, una pulsione irrefrenabile, un improvviso raptus …. A questo punto la paura del mostro di turno è esorcizzata e possiamo concederci il narcisistico piacere di sentirci commossi, comprensivi e tolleranti.
Dal glossario della nuova morale sono sparite due parole arcaiche: la cattiveria e il dovere.
Il cattivo, nella finzione cinematografica o televisiva, sopravvive come personaggio di fantasia: una “licenza” degli autori, che lavorando d’immaginario, possono impunemente discostarsi dai parametri della realtà.
Secondo questi parametri la parola “cattivo” è un vecchio e improprio sinonimo di sfortunato, incompreso, discriminato o psicologicamente turbato.
Perciò né emerge un aggettivo che male si concilia con i concetti di ricuperabilità o pentimento, concetti tanto cari alla criminologia e alla cultura del cristianesimo.
Senza accorgercene abbiamo lentamente trasformato il sacrosanto esercizio della comprensione in un totale disimpegno morale. Il fastidio o la fatica (o se volete il condizionamento del sistema) di dovere giudicare è tale che accettiamo tutto e siamo incapaci di distinguere il bene dal male , e ci è inconcepibile ammettere – come in realtà è- che possano esistere persone crudeli, ciniche, sadiche o violente.
Nella doverosa smania di assimilare i diversi e negare il concetto stesso di diversità, non scorgiamo più gli handicappati dell’anima , e cioè quei personaggi privi di qualunque scrupolo o censura morale.
E’ il solo handicap che fa raccapriccio e che non dovrebbe destare alcuna pena: il cattivo pensa solo a se stesso, non soffre, non conosce limiti e la sua massima felicità è quella di arrecare infelicità al prossimo. Negarne l’esistenza o tollerarlo significa, nel privato come nel sociale, consegnarci inermi ai suoi attentati e ai suoi intrighi.
In altre parole , ci sottraiamo al dovere di condannarlo duramente e senza sconti quando le infrange, concedendogli uno strapotere devastante.
Il rischio di lasciarci soggiogare e contaminare si sta già concretamente profilando: stiamo diventando tutti più cinici, più prepotenti, più egoisti, più insensibili, e di questo passo stiamo consegnando alle nuove generazioni un mondo senza più doveri né valori, ritornando all’oscurantismo di una società dove l’uomo è lupo tra gli uomini.
Io, non voglio commentare ciò che provo probabilmente andrei contro ogni umana ragione , sono sempre vissuto diffidando del moralismo, anzi, con il timore di inciamparvi, oggi ho la certezza che questo termine dispregiativo (moralismo) sia stato strumento talmente usato come censura o tabù per allontanarci da prese di coscienza e di posizione.
Il moralismo ha reso imprecisi i confini tra la severità perbenista e bigotta, e la vera morale.
A questo punto credo che sia meglio ricorrere a quella antica severità dei nostri nonni colma di diritti e di precisi doveri, che correre il rischio di apparire moralisti e perdere ogni senso di ciò che deve restare ingiusto, vietato, amorale.
Malatempora currunt……