[COLOR=darkblue][SIZE=5]L'ESTREMO INSULTO AI NOSTRI MORTI E LO SCARICABARILE DELLE RESPONSABILITA' [/SIZE] [/COLOR]
Il Cimitero dei Neri nella tradizione- Entrando nel Cimitero monumentale dei Neri di Portoferraio si ha netta l’impressione di trovarsi al cospetto di due parti architettonicamente molto diverse, come se l’età del mondo riflettesse in quel luogo di mesto raccoglimento il passato e il presente insieme. Ma la parte che qui interessa evidenziare è quella monumentale più antica, rappresentativa di un luogo austero quanto attuale, come la morte che livella il tempo e gli affetti raffigurati dai simboli degli stessi sepolcri.
Moltissimi, quasi tutti i portoferraiesi in passato, si identificavano quasi per ideologia nelle due Confraternite dei Bianchi e dei Neri, che gestivano nella città i rispettivi Cimiteri. Ma tra questi vi era sempre qualche membro di famiglia delle nuove coppie che si diversificava dalla tradizionale militanza del padre o della madre, tanto da poter dire che quasi ogni nucleo familiare a Portoferraio ha qualche parente o qualcuno dei propri cari seppellito nel Cimitero monumentale dei Neri.
Questo Camposanto fu edificato per interessamento delle Autorità comunali in forza di un ex editto napoleonico ad iniziare dal 1816, esattamente 200 anni fa, anche se dopo alterne vicissitudini è stato consegnato alla Confraternita dei Neri solo nel 1860.
Possiamo dire, però, che fin dalle sue origini, la storia, le genti, le tradizioni culturali rappresentate dalla maggior parte dei cittadini che hanno dato lustro alla storia della nostra città, esprimono con i loro sepolcri quello spirito che fa di noi isolani i momenti più alti della nostra comune tradizione.
Il settore monumentale - Entrando nella parte architettonica del Cimitero e salendo gli scalini che portano alle cappelle più elevate sul pendio dei monumenti e delle tombe all’aperto, si avverte il piacevole conforto di quella curata austerità in cui i pensieri e i ricordi che credevamo dimenticati vengono rapidamente richiamati alla memoria, proprio da quei simboli raffigurati dalle cappelle, dalle tombe e dalle immagini che si incontrano durante il percorso.
Arrivati alla parte più alta della scalinata, una decina di metri più avanti si trova l’anfiteatro monumentale del Cimitero che raccoglie, soprattutto sul pavimento, sepolcri decorativi rivestiti di marmo scolpito con nomi, date e parole. Ma quei termini incisi nel marmo rievocativi dei sentimenti sempre attuali che si nutrono per la morte dei propri cari, non si riesce più neppure a vederli. Ricordo quando, nel passato, talvolta mi soffermavo in quei luoghi a leggere le struggenti frasi di incondizionato amore che sono state lasciate alla nostra pietas e che rievocano spesso, con i nomi delle persone a cui son dedicate, qualche lembo significativo della storia di Portoferraio.
Il degrado morale – Ora non si legge più niente perché, in quel tratto più rappresentativo del nostro Cimitero, il soffitto già da tempo è andato in disfacimento e la parte alta delle colonne che reggono il tetto è divenuta ricettacolo di decine e decine di piccioni che hanno fatto di quel luogo sepolcrale la propria indisturbata dimora e del pavimento sottostante una putrida, immonda e continua copertura di escrementi. Si tratta, infatti, di una sorta di scuro mantello che copre le tombe e che forma rilievi di guano, di cui è cosparso l’ arco dell’intero anfiteatro.
Esimendomi da ulteriori descrizioni del degrado ambientale, ritengo però che la ovvia presenza di altri animali che prolificano in quello stesso ambiente non possa essere scollegata dalla vergognosa situazione descritta.
Ho chiesto a qualcuno del luogo quale fosse la ragione di tanto imbarbarimento e per quale motivo non si eliminava la causa almeno per il futuro. Mi è stato risposto che la responsabilità di questo stato di cose deve essere attribuita a un gruppo di agguerriti ecologisti i quali pensano che, per il rispetto a loro avviso, dovuto anche ai piccioni, questi ultimi non possano essere rimossi perché ciò costituirebbe crudeltà verso gli animali.
Un oltraggio al buon senso - Un’affermazione di questo genere tuttavia dovrebbe lasciare indifferente, ritenendo che per non voler addossare la responsabilità a coloro a cui è preposta la gestione cimiteriale, sia più conveniente imbastire una sorta di sceneggiata con scaricabarile tra i possibili colpevoli. Il lato più sconcertante di una questione tanto assurda e così spregiudicata a fronte dei valori più cari della tradizione e della cultura della nostra città, è che queste persone, e non soltanto loro, non hanno avvertito l’inaccettabile disagio anche alla sola vista di tutto quel guano, prima di abituarsi ad un ambiente di questo genere.
Qui non si tratta della mancanza dei fondi necessari al ripristino della originale struttura del Camposanto. La questione riguarda semplicemente allontanare i piccioni e ridare dignità ai sepolcri con ripulitura del guano depositato. Le eventuali motivazioni per le quali questo non è possibile sono un insulto alla pietà per i morti, e al buon senso dei vivi.
Chi non ricorda “I Sepolcri”, quando il Foscolo spiega le ragioni che giustificano la naturale umana pietas verso i morti?
“Una celeste dote esiste negli uomini; per questa dote si genera tra i vivi e i trapassati una corrispondenza di amorosi sensi; per questa dote noi viviamo con l'amico estinto e l'estinto con noi, se le sue ossa siano state accolte pietosamente dalla terra nativa, e un sasso conservi il ricordo del nome. Solo per chi non lascia sulla terra eredità di affetti il sepolcro è privo di senso, né alcuna voce dalla tomba può giungere ai viventi”.
Alberto Zei