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SALVIAMO LA VILLA ROMANA da SALVIAMO LA VILLA ROMANA pubblicato il 1 Ottobre 2014 alle 11:31
[COLOR=darkblue][SIZE=4]LE GROTTE: INUTILE CERCARE LE COLPE ..TENTIAMO INVECE DI TROVARE UN RIMEDIO…. [/SIZE] [/COLOR] Di Michelangelo Zecchini e Fabrizio Prianti La questione della Villa romana delle Grotte sta a cuore a tutti coloro (compresi i sottoscritti) i quali pensano che la tutela, la valorizzazione e la fruizione pubblica del nostro patrimonio storico-archeologico, siano anche un dovere civico. Perciò prospettiamo le seguenti opinioni con la speranza che possano essere utili alla soluzione del problema. E’ un dato di fatto che sulla villa delle Grotte grava un doppio vincolo, quello di importante interesse emanato con provvedimento del 20 marzo 1911 e quello previsto dall’art. 142 (aree tutelate per legge) del D. Lgs 42/2004, il quale ultimo dispone alla lettera m) che “Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposte alle disposizioni di questo Titolo le zone di interesse archeologico individuate alla data di entrata in vigore del presente codice”. Se poi si aggiunge che la Regione Toscana ha inserito la villa nel suo Sistema Informativo Territoriale per i Beni Culturali e Paesaggistici, si comprende facilmente che dal punto di vista della tutela le cose filano per il verso giusto. Altrettanto non può dirsi per la valorizzazione e la fruizione pubblica che restano ancorate alla disponibilità del proprietario del terreno, come prevedono esplicitamente l’art. 113 (valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata) e soprattutto l’art. 104 (fruizione di beni culturali di proprietà privata) del medesimo D. Legislativo 42/2004, il quale al comma 3 recita che “Le modalità di visita sono concordate tra il proprietario e il soprintendente, che ne dà comunicazione al comune o alla città metropolitana nel cui territorio si trovano i beni”. Dal momento che la proprietà (per motivi che non conosciamo ma che, dal suo punto di vista, sono senza dubbio giusti e ineccepibili) ha disdetto l’accordo che per un po’ di tempo ha funzionato, in molti si sono chiesti quali potrebbero essere le strade legali per evitare la chiusura a tempo indeterminato dell’importante sito archeologico. Alcuni hanno visto nell’esproprio dell’area un mezzo possibile e definitivo per chiudere il problema. A nostro avviso, al contrario, si tratta di uno strumento troppo lungo e troppo complesso, una medicina che nell’immediato farebbe meno del solletico alla malattia. Le espropriazioni, com’è noto, sono regolate dal Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001 e successive modifiche e integrazioni (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità). Tale D.P.R. non prevede più, come succedeva in passato, che l’Ente Pubblico possa avvalersi del cosiddetto “procedimento collegato alla dichiarazione di indifferibilità e urgenza” che aveva lo scopo di consentire, in base a un’ordinanza di occupazione d’urgenza, di entrare quasi subito nel possesso del bene. Oggi sono concesse solo le procedure ‘normali’, che sono complicate e per niente brevi. Si pensi, per esempio, che una volta definita (dopo una selva di altri passaggi) l’indennità di espropriazione, il proprietario, dilatando i tempi di esecuzione, può proporre entro 30 giorni opposizione alla Corte di Appello. Siamo convinti che il dialogo sia sempre l’arma migliore, ma se non fosse possibile replicare l’accordo con la proprietà, secondo noi il mezzo più semplice e più tempestivo per riaccedere al sito archeologico potrebbe essere la domanda di concessione di scavo al Ministero (MIBACT). Cerchiamo di spiegare in parole povere in che cosa consiste. L’Ente pubblico interessato (in questo caso il Comune di Portoferraio, che sarebbe in seguito definito Concessionario) chiede al Ministero, allegando i documenti di rito, che gli venga data la concessione di scavo stratigrafico per l’anno solare 2015 (rinnovabile), facendo presente il nominativo dell’archeologo qualificato (perché non una o tutte e tre le ‘ragazze’ delle Grotte?) che condurrà lo scavo stesso e che per questo avrà la qualifica di ‘direttore scientifico di scavo’. Nel caso che la domanda sia accolta, con un provvedimento del Soprintendente si procederà all’occupazione d’urgenza del terreno, che quindi sarà nella disponibilità del Comune e degli archeologi, peraltro con la possibilità di un’efficace attività didattica mentre le operazioni di scavo sono in corso. E’ vero che il proprietario potrebbe proporre ricorso al TAR o al Capo dello Stato, ma le possibilità di accoglimento sono tanto ridotte che tale strada viene percorsa da pochissimi. Le controindicazioni maggiori consisterebbero, al solito, nelle difficoltà economiche. Ma se, come pare di capire, tutti sono disposti a fare la propria parte per ridare vita e dignità al più importante sito archeologico dell’Elba, magari rinunciando a scavi e scavetti (e alle relative spese) che contribuiscono poco o niente alla ricostruzione della storia dell’isola, ogni ostacolo può essere superato. Fabrizio Prianti e Michelangelo Zecchini
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