Nel 20 Settembre del 1890 Pietro Gori, che, si trovava recluso nelle carceri di S. Giorgio a Lucca per uno dei suoi soliti peccati di pensie¬ro, scriveva al Presidente della, Filarmonica dei Perseveranti Mar¬ciana Marina- una delle sue più belle lettere densa di idealità di senti¬mento per commemorare la gloriosa data della breccia di Porta Pia. Fu pubblicata per la prima volta nel numero unico uscito per la circostan¬za dell'inaugurazione della lapide di Pietro Gori a Portoferraio, ed ebbe grande eco. Merita oggi riportarlo in questo libro memore e devoto tanto più che la lettera è pressoché sconosciuta e rivela, mirabilmente, la elevatezza di pensiero dell'apostolo e la profonda bontà del suo gran cuore.
Il gaio fanciullo di cui si parla nella lettera, era Luigitto Mori, che fu studente a Pisa insieme al Gori. Era nato in America da genitori di Marciana Marina e si recava spesso con lui in questo paese nella ricorrenza di feste patriottiche. Luigitto Mori si era fidanzato con Bice, la dolce sorella di Pietro Gori alla quale dal suo letto di dolore dette in extremis la fede di sposa. Pietro ne scrive largamente nel suo libro di versi Prigioni.
Scritti e lettere inedite di Pietro Gori
Nell'anniversario del XX settembre
Carceri di S. Giorgio Sezione Giudiziaria, Lucca, 15 settembre 1890.
A Carlo Cascione, Presidente della Filarmonica dei Perseveranti,
Marciana Marina
Carissimo, quando nella solitudine del mio carcere sotto l'ansiosa aspettativa del giudizio penale, che di me dovea tenersi, il mio pensiero, riandando i tempi più felici e sereni della giovinezza, si soffermava con tanta poesia di affetti e di rimembranze su cotesta isola diletta, uno dei ricordi più dolci e cari era pur sempre quello della amicizia, che a te e a tanti giovani di cotesto gentile paese mi legava, e delle ore gioconde che insieme trascorremmo, allorché sulla onesta mia casa non era passato ancora questo soffio gelido di morte e di sventura.
Ed ora qui, in questo cupo carcere di S. Giorgio, adeso alla casa di forza, di cui è una sezione, nell'attesa dell'udienza di Appello, un altro ricordo vivo più lieto mi avvince e mi riconduce a te ed ai cari giovani della tua filarmonica, ed agli egregi che della società fanno parte, nella imminenza d'un anniversario, che, da voi annualmente celebrandosi, per la cortesia degli inviti vostri, e per grata consuetudine mia, mi richiamava di persona alla festosa e simpatica riunione serale, nel giorno 20 settembre da voi tenuta. Partecipare di persona, oh se lo vorrei! ma, per mia triste ventura, quest'anno io non posso. Ma se le tirannie degli eventi mi tolgono questo gradito conforto, se questa volta la mia modesta voce non si leva tra cotesto popolo marinaresco, così mite e generoso, la parola, che oggi a voi giunge di me, lontano, ma spero non obliato da voi, non risuonerà, forse sgradita nel vostro festoso convegno.
E tu, o mio buon Carlo, esprimerai agli intervenuti questo sentimento vivace di affetto e di memoria; tu, portando il saluto del povero recluso, dirai a quelli che ti fanno corona, tra cui tanti amici diletti e tanti miei vecchi compagni di studio, io vedo con gli occhi del cuore, dirai a quelli che si rammentano ancora dì me, ed a quelli che non mi ricordano più, quanto e con quale intenso desiderio io mi risovvenga di loro, e come sebbene colpito fieramente dagli sdegni umani o non mi senta indegno di tante e sì tenaci amicizie, e come mi sia cara la illusione che non sia a me venuta meno la stima che costà mi rendeva lieto e fiero.
Io non voglio per un solo istante turbare col riflesso scortese di personali considerazioni la serenità del vostro famigliare ritrovo; io non voglio gettare l'ombra sinistra di sconfortanti pensieri attraverso i baldi entusiasmi, che a voi apprestano le ore del fraterno convito.
Dimenticate pure al bagliore festoso dei vini Elbani, quello che ci è di triste nella vita, voi a cui il fare ciò, è concesso; commemorate pure il passato, con la mente aperta all'avvenire; perché non v'è dissidio nelle grandi linee della storia, ed era sulla bandiera del Leibniz scritto e sia scritto sulla bandiera di tutti i buoni e di tutti i veggenti, come il presente è figlio del passato, cosi dev'essere padre dell'avvenire; festeggiate pure con solennità la conquista di Roma strappata alle catene della teocrazia dall'Italia rinnovata per la quale combatterono i nostri padri e che fu pure l'ideale di tanti eroi, di tanti martiri; ma non dimenticate, voi che siete buoni e pietosi, i mesti problemi umani che attendono la soluzione dai nuovi tempi e dalla vigoria delle nuove generazioni. Coltivate la santa religione delle memorie, venerate gli estinti eroi, martiri del fiero pensiero arsi sui roghi, pei quali martiri ed eroi il 20 Settembre 1870 fu rivendicazione e apoteosi: ma non vi fermate di troppo a piangere sulle ceneri, che nuovi ideali sì affacciano agli orizzonti dell'umano pensiero, e sui ruderi venerabili del passato spuntano i verdi germogli delle nuove primavere.
Innanzi a Porta Pia l'umanità non può che arrestarsi pensosa e reverente; perché attraverso quella breccia non l'Italia sola passava vittoriosa, ma penetrava, con le aure del Settembre, la coscienza civile dei popoli affermantesi dinanzi ad una barbarie il potere temporale dei papi, il quale (sono questi i grandi ammonimenti della storia) era pure stato un faro ed un segnacolo di civiltà contro la prepotenza degli imperatori Alemanni, e che decrepito sotto il peso dei secoli e delle colpe, spengevasi ingloriosamente sotto il breve e facile cannoneggiamento del generale Cadorna.
Io credo che il culto dei grandi ricordi e dei grandi sacrifici sopportati per il raggiungimento d'ideali, che ottenuta la sanzione dei fatti e della realtà cedono il campo ai nuovi, sia il più grande eccitamento ai forti pensieri ed a gagliardi propositi. E voi, miei buoni amici, ben fate a rammemorare col vostro simpatico convegno il significato vero e profondo di questa data storica. Anche essa è una pietra miliare del cammino percorso; è una pietra bagnata di sangue generoso; ed è doveroso che, passando, ci scuopriamo il capo; ma quella pietra ci dice, che la via non termina con essa, che il cammino non finisce, che la mèta, cui tendono le società umane, è ancora lungi da noi, che la mèta finale finché il progresso avrà per legge il moto ed il moto la vita, non sarà mai raggiunta. Ma il nostro dovere è di camminare, e noi camminiamo; se incontreremo per via delle sofferenze, delle avversità le sopporteremo tranquilli, come una parte di questo dovere; e quando, giunti alla sera del nostro giorno mortale, ci volgeremo a guardare il cammino percorso, sentiremo il conforto di una missione compiuta; ed avremo, anche sulla nostra fossa, non dispregiata, il sorriso luminoso delle nuove aurore. Perché il sole, come l'ideale, non muore mai.
Questo ci dice la data del 20 Settembre, questo noi dobbiamo apprendere dalle opere di quelli che ci precedettero.
Quando io contemplo con la muta tenerezza della venerazione la immacolata canizie di mio padre, che pure tanti anni di vita fiorente e battagliera consacrava per questa Italia, per queste libertà, per queste leggi, che a lui cadente per le amarezze e per gli sconforti più che per l'età, toglievano sì lungo tempo il figlio incolpelvole, provo talvolta uno scoramento infinito, per me, per i miei ideali, per i destini della specie umana, che mi vien meno ogni onesta gagliardia di pensieri, di valore, di speranze. Ma tosto negli entusiasmi della mia fede ritempro di nuovo l'anima. alla lotta; e la mente, sollevandosi al di sopra delle ire e delle passioni del momento, intuisce, nella realtà delle cose, che fra i fatti umani, per dir così, tutto è bene e tutto è male, che le tristezze sono la prova di un carattere, e che infine gli uomini sono, e saranno sempre, più buoni delle loro leggi e delle loro istituzioni.
Quante cose io vorrei dirvi, che la tirannia dello spazio e del tempo non mi consentono; quanti pensieri dettati dalla mesta filosofia della prigione e dalla fantasia anelante, a cui non è dato spaziare che in un piccolo lembo di cielo, incorniciato tra le severe sbarre e della segreta. Ma voi li completerete col Vostro affetto questi tratti fugaci del mio pensiero.
Voi nelle lacune di questo scritto, sentirete tutto quello che io sento, e che esso, impotente, non dice. E, ricercando nel festante semicerchio i volti giovanili, che l'anno passato a voi sorridevano colla spensieratezza della gioia e con la espressione dell'amicizia, due visi, questa volta non rivedrete tra voi. Quello d'uno, cui furono immiti le leggi degli uo¬mini; ed il volto pensoso e pallido d'un altro, che, fu gaio fanciullo tra gli splendori della vostra marina, ed a cui furono crudeli ed ingiuste le leggi della natura. E voi così gentili e pietosi, avrete un pensiero ed un palpito d'affetto e per quello, che langue tra le fredde e solitarie mura di un carcere, e per quello che giace, povero e rigoglioso arbusto schiantato dalla. tempesta, sotto le funebri zolle di un cimitero.
Il recluso poi, non si dimenticherà certo delle riminiscenze cosi soavi che si riconnettono per lui alla data del 20 settembre. Se non di persona, egli sarà presente col memore pensiero al geniale vostro convito di quella sera. Quando le ombre fosche e misteriose di questi crepuscoli perenni del carcere, cederanno il luogo alla tenebra della notte, io in quella sera aggrappato alle rigide sbarre della mia cella, figgerò gli occhi verso le lontane plaghe meridionali del cielo, e rivedrò in fantasia, l'isola nostra confortata dall'alito purissimo dei venti di mare, e la vostra gentile Marina, rispecchiata dalle onde cristalline del Golfo. E su dall'intimo dell'animo mio verrà a voi, nella sala festosa di luce e di bandiere, questo saluto: O amici miei; e voi, giovani, che sentite le cose grandi, e che siete, per missione storica, chiamati a compiere nel ciclo della vostra vita opre buone e non meno generose; inclinate pure le vostre bandiere innanzi ai ricordi magnanimi, spargete alloro sulle tombe dei martiri estinti; ma camminate ancora, guardando il sole, che non muore mai; combattete, baldi e sereni, contro tutto quello che è tenebra, e viltà; siate forti e pietosi, e soprattutto amate, amate molto; perché i nuovi problemi esigono vivacità di luce e di amore; reietto dal mondo, o amici miei, io non maledico; non piego; ma amo ancora, e dalla tristezza del mio carcere e delle mie sventure io vi ripeto ancora col poeta, che ha troppo dimenticato:
Il mondo è bello e santo è l'avvenir
E questo, o mio buon Carlo tu dirai per me nel geniale convegno del 20 Settembre.
Con affetto intenso il tuo
Pietro Gori