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Cesarina Barghini da Cesarina Barghini pubblicato il 7 Settembre 2013 alle 7:42
[SIZE=4][COLOR=darkred]CARO PRESIDENTE NAPOLITANO..TI SCRIVO [/COLOR] [/SIZE] [FONT=comic sans ms][COLOR=darkblue]di Cesarina Barghini [/COLOR] [/FONT] Ill.mo presidente, sono un avvocato dell’Isola d’Elba che nutre nei Suoi confronti profonda stima da quando, alla fine degli anni ’70, ebbe il privilegio di trascorrere una serata con Lei, unitamente ad una ristretta delegazione, nella suggestiva cornice di un ristorante di Porto Azzurro. Io e Lei eravamo seduti accanto e ricordo la conversazione sul futuro che, quella liceale piena di speranze che ero, avrebbe voluto per la sua Isola, con l’entusiasmo che solo l'ingenuità di quell’età può alimentare; così come ricordo la sorpresa di scoprire di essere nati lo stesso giorno, “io qualche anno prima”, tenne a sottolineare Lei sorridendo, quasi a voler moderare la mia euforia. Probabilmente Lei non ricorderà questo episodio, poiché, quando si svolgono ruoli quali quelli che, già allora, Lei rivestiva, i “dati” che si accumulano nella memoria si moltiplicano e diventa impossibile ricordarli tutti. Per me è diverso: ogni volta che La vedo attraverso i media, non posso far a meno di ricordare quel frammento di vita con una puntina di orgoglio. Soprattutto negli ultimi mesi, quando con i colleghi, impegnati a correre nella Capitale tra un Ufficio e l’altro per spiegare le peculiarità della realtà elbana a chi ha nelle mani la sorte della nostra “Giustizia”, abbiamo confidato in Lei. Frenare una riforma oggi può apparire folle, perché una riforma – per definizione - dovrebbe essere migliorativa. E’ altrettanto pacifico, tuttavia, che il colpo di spugna che esuli da una valutazione preventiva delle criticità, non può essere condiviso. Può accadere, invero, che, di fronte ad una miriade di problemi sociali si rischi di trascurare le peculiarità di determinate realtà e di applicare quel principio di diritto che recita “la legge è uguale per tutti” in un modo che, paradossalmente, finisce per negare proprio quello stesso precetto dettato dall’art.3, perché non c’è peggior violazione del principio di uguaglianza che trattare in modo uguale situazioni radicalmente diverse. In un tal contesto, non può escludersi l’opportunità di quelle “correzioni” che rendano effettivo il diritto. Questa la sorte del cittadino che deve far valere un proprio diritto o semplicemente è citato come testimone: se ansioso dovrà partire la sera prima, pernottando in albergo, altrimenti avrà la partenza alle 5. Considerando almeno 30 minuti di auto (sempre che ne disponga) per arrivare al porto, avrà la sveglia alle 4. Traghettando l’auto, potrà guadagnare un’ora di sonno, ma gli costerà circa 80 euro. Il cittadino elbano deve godere gli stessi diritti di ogni altro, senza penalizzazioni che potrebbero indurlo a rinunciarvi, perché rendere particolarmente oneroso l’esercizio di un diritto equivale, di fatto, a negarlo. E il processo penale? Quanta Polizia giudiziaria dovrà lasciare scoperta la funzione per l’intera giornata per quei 20/30 minuti di deposizione a Livorno? E quante volte la Forza Pubblica dovrà accompagnare i testimoni? I vizi intrinsechi alla soppressione sono ragionevolmente prevedibili, non occorre sperimentazione perché, purtroppo, sono connotati da una certezza matematica del loro verificarsi. Per questo, Presidente, con quello stesso entusiasmo di qualche anno fa, quando ebbi il piacere di conoscerLa, voglio credere oggi che, anche con il Suo contributo, il nostro Tribunale sarà salvato e con esso la dignità degli abitanti dell’Isola d'Elba.
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