AL RE TRAVICELLO ( AL SINDACONE UNICO)
Al Re Travicello
piovuto ai ranocchi,
mi levo il cappello
e piego i ginocchi;
lo predico anch'io
cascato da Dio:
oh comodo, oh bello
un Re Travicello!
Calรฒ nel suo regno
con molto fracasso;
le teste di legno
fan sempre del chiasso:
ma subito tacque,
e al sommo dell'acque
rimase un corbello
il Re Travicello.
Da tutto il pantano
veduto quel coso,
ยซร questo il Sovrano
cosรฌ rumoroso? ยป
(s'udรฌ gracidare).
ยซPer farsi fischiare
fa tanto bordello
un Re Travicello?
Un tronco piallato
avrร la corona?
O Giove ha sbagliato,
oppur ci minchiona:
sia dato lo sfratto
al Re mentecatto,
si mandi in appello
il Re Travicelloยป.
Tacete, tacete;
lasciate il reame,
o bestie che siete,
a un Re di legname.
Non tira a pelare,
vi lascia cantare,
non apre macello
un Re Travicello.
Lร lร per la reggia
dal vento portato,
tentenna, galleggia,
e mai dello Stato
non pesca nel fondo:
che scienza di mondo!
che Re di cervello
รจ un Re Travicello!
Se a caso s'adopra
d'intingere il capo,
vedete? di sopra
lo porta daccapo
la sua leggerezza.
Chiamatelo Altezza,
chรฉ torna a capello
a un Re Travicello.
Volete il serpente
che il sonno vi scuota?
Dormite contente
costรฌ nella mota,
o bestie impotenti:
per chi non ha denti,
รจ fatto a pennello
un Re Travicello!
Un popolo pieno
di tante fortune,
puรฒ farne di meno
del senso comune.
Che popolo ammodo,
che Principe sodo,
che santo modello
un Re Travicello!
Re Travicello รจ un'espressione idiomatica della lingua italiana. Si usa per indicare, spesso in senso dispregiativo, una persona che occupa una posizione importante o una carica ufficiale, ma che non ha autoritร o capacitร sufficienti a esercitarne il potere.
L'espressione trae origine da una favola di Fedro spesso attribuita a Esopo, dal titolo Le rane chiesero un re.
Le rane chiesero un re
La favola narra di un gruppo di rane che, abituate da tempo a muoversi liberamente per lo stagno, chiedono a Zeus un re autoritario che reprima il loro modo di vivere sregolato. Il dio, divertito dalla richiesta, non fa altro che lanciare nello stagno un pezzo di legno (un "travicello"), indicandolo come nuovo monarca dello stagno. Inizialmente le rane sono intimorite dal tonfo e vanno sul fondo, ma poco dopo scoprono che il loro sovrano non fa nulla a parte galleggiare. Iniziano cosรฌ ad avvicinarsi, a toccarlo, a salirvi sopra. Infine, lo provocano con ogni tipo di ingiuria e sberleffo, ovviamente senza ottenere alcuna reazione. Deluse dal dono, si rivolgono di nuovo a Zeus chiedendo un re che non sia una nullitร . Il dio manda allora nello stagno una serpe, che inizia a divorarle una ad una. Le rane per la paura perdono la voce; le poche che si salvano mandano un'ambasciata all'Olimpo attraverso Ermes, supplicando di essere risparmiate. Zeus perรฒ risponde loro "Poichรฉ un buon re vi dispiacque, abbiatene uno malvagio".
Come in tutte le favole di Fedro, anche questa contiene un "insegnamento morale" che si cerca di trasmettere attraverso la narrazione favolistica. La storia suggerisce che รจ meglio avere governanti incapaci ma innocui, piuttosto che astuti e autoritari. Piรน in generale, il consiglio รจ quello di tollerare una situazione spiacevole se c'รจ il rischio che, cambiandola, questa peggiori radicalmente.
Nell'introduzione della favola, Fedro sostiene che questa sia stata raccontata da Esopo agli ateniesi, quando questi si lamentarono della tirannia di Pisistrato: questa, perรฒ, era frutto di un accordo tra le diverse fazioni che prima governavano la polis in libertร . Il fatto che Fedro introduca la novella come un racconto di Esopo, ha generato il dubbio sull'attribuzione di questa favola.
La favola era una delle preferite del poeta Giuseppe Giusti, che nel 1841 ne scrisse una versione in versi, col titolo Re Travicello.
LEGGETE BENE E MEDITATE CITTADINI DELL'ELBA E VOTATE ....NO !
Capirete perchรฉ G.Giusti scrisse questa poesia.. Anche x noi ELBANI !
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