[SIZE=4][COLOR=darkred]IL CASTELLO DEL VOLTERRAIO: NON FACCIAMOLO MORIRE [/COLOR] [/SIZE]
Il castello del Volterraio, con le sue architetture pericolanti e con le radici delle piante che ne minano giorno dopo giorno la stabilità, è diventato il simbolo dello spaventoso degrado in cui versano i beni culturali dell’isola. E’ un’incuria che parte da lontano se, già nel 1971, scrivevo: “ Oggi la più bella costruzione militare del medioevo elbano sta cadendo e non si fa niente per contrastare i danni del tempo che, clemente, permette ancora di ammirare le mura di cinta, il cammin di ronda, stanze a volta, la torre quadrata, i resti di un forno, la scaletta di accesso al ponte levatoio, merli, feritoie. I soliti cercatori di tesori aiutano gli elementi meteorologi nell’opera di disfacimento, bucando come talpe dovunque ci sia un pezzetto di terreno non svoltolato” (L’archeologia nell’Arcipelago toscano, pp. 163-164). Purtroppo da quarant’anni a questa parte le condizioni del forte sono notevolmente peggiorate. Ora Fabrizio Prianti e Carlo Gasparri ci documentano puntualmente con un video quali e quanti sono i punti critici del monumento. Troppi e troppo accentuati. Se non si interviene in tempi brevi, quantomeno a tamponare le situazioni di instabilità più evidenti, non c’è dubbio che i piccoli crolli saranno sempre più ravvicinati nel tempo e che, infine, ci sarà il patatrac. L’altra faccia della medaglia sarà la possibilità di ammirare il più bel cumulo di macerie medievali della Toscana.
Ringrazio Carlo e Fabrizio per avermi consentito di rivedere l’interno del Volterraio. C’ero stato quasi cinquant’anni fa con Antonio Mario Radmilli, docente di paleontologia umana all’Università di Pisa, il quale, oltre a essere un maestro degli studi preistorici, era anche un valente medievista. Ricordo che facemmo un modesto saggio di scavo all’interno del pozzo e recuperammo nel deposito superficiale belle ceramiche del Settecento. Ci fermammo lì per vari motivi, ma sapevamo che negli strati sottostanti c’erano (e ci sono) diversi secoli di storia, non solo dell’Elba. Ci dedicammo poi all’analisi delle stratificazioni architettoniche e fu delineata, sia pure a grandi linee, la storia della fortezza: da un primitivo impianto tattico di duemila anni fa (scorgemmo resti murari di epoca romana) all’innalzamento di una torre isolata (XI secolo), che faceva il paio con quella di S. Giovanni; dall’incastellamento, avvenuto fra XIII e XV secolo, fino alla costruzione della chiesa nel XVII secolo.
Ho parlato con varie persone che hanno a cuore i tesori culturali dell’Elba e sono tutte disponibili a dare una mano per salvare il Volterraio. Molte altre – ne sono sicuro – si aggiungerebbero strada facendo. Ma l’iniziativa deve essere del Parco, che ne è proprietario. Con l’istituzione di gruppi di lavoro (istituzionale, tecnico-scientifico, civico) si potrebbe arrivare con una certa velocità a un progetto di fattibilità e ai primi interventi di consolidamento d’urgenza. Rimane da augurarsi che dal limbo delle buone intenzioni si passi senza remore eccessive alle fasi di realizzazione.
[COLOR=darkred]Michelangelo Zecchini [/COLOR]
