Si parla molto, sullโisola dโElba, del problema delle case in affitto annuale. Eppure ho la sensazione che, dietro le parole, manchi un vero ascolto. Leggo storie di persone che, se non troveranno presto una casa, saranno costrette ad andare via. Non perchรฉ vogliano andarsene, ma perchรฉ costrette. E questo significa lasciare un posto fisso, unโattivitร avviata, una vita costruita con fatica.
So bene che lโElba vive di turismo. Ma vive anche โ e forse non si dice abbastanza โ grazie a chi resta tutto lโanno. Ai professori che arrivano da fuori, agli infermieri, ai medici, agli impiegati stagionali che diventano parte integrante della comunitร . A tutte quelle persone che, pur non essendo nate qui, cercano con impegno di far parte di questo luogo.
Quando si parla di affitti, la risposta รจ spesso la stessa: โComprala, una casaโ. Ma per molti non รจ possibile. I prezzi sono troppo alti. I mutui inaccessibili per chi ha contratti stagionali o redditi discontinui. E allora ci si ritrova senza alternative, con lโamara sensazione di non essere voluti.
Capisco chi affitta in estate, chi ha investito e fa sacrifici. Non chiedo nulla a chi ha costruito il proprio lavoro sugli affitti turistici. Ma davvero ci siamo ridotti a scegliere tra il guadagno di tre mesi e la possibilitร di mantenere viva una comunitร tutto lโanno?
Capisco anche la paura: che qualcuno non paghi, che resti troppo a lungo, che sia un rischio. Ma una comunitร si costruisce anche con la fiducia. E se non troviamo un equilibrio, dove andremo a finire?
Scrivo questa lettera con delusione e amarezza, ma anche con la speranza che qualcuno legga e rifletta. Perchรฉ amare unโisola significa anche permettere a chi la vive ogni giorno di restarciโ.
Una cittadina dellโElba