Legge fisica e paradosso politico:
in fisica, nel mondo dei mortali, per passare da uno stato ad un altro si deve applicare una forza, compiere uno spostamento e quindi produrre del lavoro;
in politica invece, anche se sempre nel mondo dei mortali, per passare dallo stato di Partito Politico allo stato di Partitocrazia non deve essere compiuto alcun lavoro, alcuno spostamento, applicata nessuna forza, si deve star semplicemente fermi!
Ergo, per non passare allo stato di Partitocrazia è necessario, condicio sine qua non, che si compia del lavoro e cioè che le chiappe degli unti dalle elezioni, dopo un po’ di anni, devono essere fatte spostare dalle sedie alle biciclette dove per restare in piedi è necessario pedalare.
Tradotto in soldoni vuol dire che se noi non partecipiamo alla vita politica con attenzione ed in modo costruttivo, siamo direttamente responsabili della naturale deriva verso la Partitocrazia. Il politico/amministratore è per definizione partitocraticheggiante, non fosse altro perché col tempo vive l’esperienza come fosse il suo mestiere, in molti casi il solo e non ha ne la forza ne tantomeno la voglia di alzare le chiappe ed andare a fare un “giro in bici”. Spesso accade anche che non sia più in età per farlo.
Dalle definizioni che seguono, in buona parte prese a prestito sulla rete, non è difficile dedurre che solo noi bloggisti più o meno accalorati, inscritti ai partiti, simpatizzanti o semplicemente cittadini interessati alle vicende politiche, abbiamo il potere di gestire il flusso Partito-Partitocrazia. La direzione del flusso dipende esclusivamente dalla nostra capacità di far passare i vecchi culi dalle sedie alle biciclette.
Le definizioni:
PARTITO POLITICO
Il partito politico può definirsi come una formazione sociale, dotata di un’organizzazione, avente come obiettivo fondamentale la “trasposizione sul piano giuridico della realtà politica, avvalendosi di mezzi predisposti dall’ordinamento”.
Il fine che il partito politico si propone è quello di far sì che il programma da esso predisposto ed accettato dalla comunità venga fatto proprio dallo Stato-soggetto ed utilizzato come base dell’indirizzo politico statale.
Per fare questo è necessario che vi sia una buona dose di democratizzazione delle strutture partitiche in cui i leader stessi siano disposti a mettersi o rimettersi periodicamente in gioco attraverso appunto il confronto democratico e civile delle idee ma anche delle critiche a quello che non va o non va più.
Viceversa, se i partiti si arroccheranno sempre di più nelle loro eburnee torri del potere, tagliando quel vitale cordone ombelicale che li lega alla società, alla gente comune, ai problemi della società, perderanno del tutto la loro vitalità e il loro consenso: unica risorsa che li legittima e li rende attori protagonisti della volontà collettiva.
Per il diritto italiano i partiti sono soggetti privati che rientrano nella categoria delle associazioni non riconosciute.
Trattandosi di associazioni non riconosciute, non vincolano nessuno, né gli iscritti e tanto meno i non iscritti.
La loro forza non dipende quindi da una particolare posizione giuridica, ma dal fatto che gli
atti politici che propongono, sono fatti propri dal parlamento, e quindi dal governo, e acquistano
perciò una forza giuridica vincolante. In questo modo i partiti fungono da filtro tra la società e lo stato apparato.
L’art. 67 Cost. sancisce che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” mentre l’art. 82 Cost. riconosce l’esistenza all’interno del Parlamento, di gruppi parlamentari che ovviamente sono filiazioni dei partiti.
La lettura congiunta di queste norme dà la visione complessiva del sistema italiano, in cui i partiti dovrebbero teoricamente fungere da intermediari tra la volontà dei cittadini e la determinazione della politica nazionale in Parlamento.
I cittadini sono l’organo propulsore di un circuito che determina la politica nazionale.
Essi hanno la responsabilità di selezionare i candidati che, una volta eletti, dovranno determinare la politica nazionale, traducendola in scelte operative.
PARTITOCRAZIA
Degenerazione del sistema democratico per il troppo potere assunto da uno o più partiti. Il sistema democratico prevede, infatti, che le scelte importanti per tutta la collettività (costruire ospedali o autostrade, spendere per la scuola o per armare l·esercito, aumentare i tributi che i cittadini devono pagare) siano decise, in Parlamento e nei vari consigli, dalla maggioranza dei rappresentanti dei cittadini. Per arrivare a determinare questa maggioranza, i cittadini si organizzano in partiti, che elaborano programmi e cercano di far eleggere persone di loro fiducia. È probabile che la democrazia funzioni meglio quando chi oggi è maggioranza può domani diventare minoranza e viceversa. Quindi, un partito, o un gruppo di partiti, detengono il potere, ma sempre incalzati da altri che vogliono decidere in modo diverso. Se però un partito, o più partiti, per varie ragioni, tengono il potere per molto tempo senza che avvenga un ricambio, c·è il pericolo che lo Stato "venga occupato". Ai posti dirigenti verranno messe persone, talvolta non capaci, ma fedeli e obbedienti agli ordini. L·efficienza dell·amministrazione pubblica viene meno e può succedere che soldi pubblici vengano dirottati nelle casse dei partiti. Si passa così dal sistema democratico dei partiti alla partitocrazia