[COLOR=darkblue][SIZE=3] EUTOPIA O DISTOPIA? IMPORTANTE È SOGNARE [/SIZE] [/COLOR]
(Piccolo decalogo per un’ isola felice)
[IMGSX]https://www.camminando.org/FOTO_29/utopia.JPG[/IMGSX] Rovistando tra antiche carte è riemerso questo “modus operandi” che da architetto avevo espresso in un decalogo .
“…Come per tutte le isole minori anche l’habitat dell’Elba è sempre dipeso, nel tempo, dalle risorse e dalle attività derivate dall’uso del territorio fossero esse l’agricoltura con i suoi vigneti, il mare con la pesca e la navigazione o i boschi che si estendono tutt’oggi per oltre seimila ettari di cui duecento a Castanetum e concentrati nelle vallate del Capanne e infine la casa e la proprietà degli appezzamenti, seppur frantumati in mille particelle, intese quale realtà da conservare immutata nel tempo e trovare al ritorno di coloro che per il mare andavano alla ricerca di miglior fortuna.
Lo sviluppo del turismo, spesso incontrollato, ha sconvolto oramai da anni questo sistema di vita dilatandone i tempi e alterando il rapporto tra il periodo invernale e quello estivo limitando ad una lunga attesa dei mesi di luglio e agosto quale panacea di tutte le risorse economiche.
Come nel settecento maturò negli uomini di Governo la diffidenza profonda verso il castagno che per la sua facile raccolta senza eccessivo lavoro si riteneva stimolo per l’ozio delle popolazioni si abbia ad intendere il turismo quell’attività economica primaria del Territorio ma distribuita in un periodo più lungo affinché non si vengano a creare delle “sacche vuote di inattività ” nella comunità di paesi-isole nell’isola stessa e quindi un Turismo da estendere verso altri mesi e proiettato anche verso l’interno collinare e montano potenziandone la qualità ricettiva con più adeguati servizi. e di quanto altro occorra per l’ospitalità in periodi diversi da quelli estivi. Razionalizzare le canalizzazioni delle varie reti della luce, del telefono che deturpano le facciate delle abitazioni e dei monumenti come pure quelle dell'acqua e della rete fognaria che altrettanto fanno sulle antiche strade e basolati. Captare le acque che in abbondanza si trovano nelle alture del Capanne per risolvere la carenza idrica la cui inefficienza è anche e prevalentemente dovuta alla vetustà e fatiscenza della rete distributiva urbana.
Potenziare le opportunità archeologiche e architettoniche esistenti con percorsi guidati e proporre un artigianato plausibile legato alle caratteristiche del luogo.
Ma è la riqualificazione dei centri collinari dell’isola che a nostro avviso viene ad avere la priorità, su altri interventi, non solo per il pregio storico di cui sono testimoni ma anche per l'intento di distribuire quel "peso" turistico in egual misura tra costa e il suo interno, tra mare e la collina.
1. Estendere ad altri mesi un particolare turismo e proiettarlo soprattutto verso l’interno collinare e montano ove venga potenziata la qualità di offerta con adeguati servizi e quanto altro occorra a supporto per quell’ospitalità riservata a periodi diversi da quelli estivi.
2. Incentivare le peculiarità di questo entroterra collinare attraverso una adeguata segnaletica e con percorsi guidati atti ad “accompagnare” verso siti di interesse archeologico e storico.
3. Proporre e sostenere un artigianato plausibilmente legato alle caratteristiche del luogo attraverso e dentro la figura giuridico-territoriale del Parco dell’Arcipelago Toscano.
4. Valorizzare il ricco patrimonio architettonico disseminato intra ed extra moenia e manifestato attraverso chiese romaniche, torri di avvistamento e castellieri, romitori e preziose piccole Cappelle votive allineate ai bordi di antiche strade e sentieri.
5. Attendere con particolare cura alla componente estetica dei paesi collinari rispettandone la loro storia e cultura e evidenziando quelle loro caratteristiche peculiari.
6. Non arredare un paese ma valorizzare ciò che in quel paese E’ perché E’ il paese come può essere una cote o un calanchione o un pozzo o un semplice muro di recinzione di orto.
7. Non arredare un paese ma spesso avere il coraggio di togliere quanto a quel paese non appartiene e che è stato a lui imposto da mode volubili.
8. Non arredare un paese con la luce ma capirne gli spazi che vivono in quel paese attraverso la luce. Perché emotività, sensazioni e accettazione dell’ambiente sono strettamente dipendenti dalla luce.
9. Non imporre un arredo ma capire dove e come quel paese vuole l’oggetto di arredo. Anche una semplice panchina non può essere imposta là perché là il Professionista ritenga stia bene. Si provi a rendere “mobile”, con un gioco di fantasia, una panchina e vedremo come, nel tempo, andrà a collocarsi nel posto giusto, nel punto giusto, nell’esposizione giusta perché è là che è fatta arredo da coloro che poi ne faranno uso in trecento e passa giorni all’anno.
10. Studiare di quei paesi le superfici di sacrificio che intonacavano le mura del passato, studiarne i colori che su esse venivano stesi e in qual maniera e proporre per ogni paese un PIANO del COLORE non impositivo ma indispensabile per una nuova sensibilità perché l’architettura nel suo proiettarsi verso l’esterno, con i suoi prospetti, con le sue facciate non appartiene più a colui che la abita ma a colui che la guarda. Appartiene a tutto il paese perché è il paese che si manifesta, vive, si identifica con le case, le chiese, i campanili e i colori delle case, quei colori che spesso lo offendono e lo oltraggiano perché, appunto, privi di sensibilità e riferimenti di storia vissuta.
In un giorno di un mese florile di molti e molti anni fa da me pensato e scritto
Paolo Ferruzzi architetto