[IMGSX]https://www.camminando.org/FOTO_25/ria.JPG[/IMGSX] Antonella e la lotta contro la malattia: «Respiro a fatica e solo con l'ossigeno»
Antonella Scotti con i tubicini per l’ossigeno
43 anni di Calcinaia, in isolamento con il compagno, la paziente dal reparto di Malattie infettive a Livorno racconta la sua storia e lancia un appello: «Siate responsabili e collaborativi»
PIETRO BARGHIGIANI
17 MARZO 2020
PISA. «Sono in isolamento da dodici giorni. Chi entra nella stanza sembra un marziano. La mia esperienza deve essere una testimonianza: non sottovalutate il coronavirus. Non è un’influenza. Nessuno ne è immune. E non tutti possono salvarsi». Antonella Scotti, 43 anni, di Calcinaia, combatte ancora con la febbre a 38,5 che non vuole scendere, «il guaio è che i medici non sanno spiegarsi come mai» confida al cronista con cui parla attraverso WhatsApp. La tecnologia riduce spazi, azzera i tempi. E consente connessioni che alimentano speranze.
I PRIMI SINTOMI
Con il compagno condivide nella stessa stanza la medesima sorte di contagiata a malattie infettive di Livorno. Fa il camionista, spesso era in viaggio nel Nord Italia. Lui si è sentito male il 4 marzo. Lei il giorno dopo. Antonella, operaia alla Sole di Pontedera, racconta la sua storia che può essere quella delle centinaia di malati confinati in isolamento. «Tutti l’abbiamo presa sottogamba, me compresa – inizia la paziente –. Poi ti svegli un giorno con qualche linea di febbre, un po’ di tosse. E pensi alla solita influenza di stagione. Ma così non è. Dopo tre giorni iniziano i problemi respiratori e all’improvviso tutto ciò che raccontava la Tv non ti sembra più così esagerato. Inizia la paura. Allora allerti il 118. Arrivano a casa con tute da marziano, ti caricano e ti portano via. Facciamo il tampone. Ma allora può succedere davvero??»
LE PAURE
La donna si sente già nel gorgo della malattia. Il pensiero del ricovero, la lotta contro qualcosa che è evidente sono negli effetti, ma sfugge ancora a vaccini e antidoti. «La radiografia riscontra una polmonite interstiziale, il sintomo più grave del coronavirus – si sfoga la donna –. E tu ti dici... Non può succedere a me! Ti iniziano a bombardare di antibiotici, poi il risultato del tampone: positivo. Il trasferimento al reparto di malattie infettive di Livorno. E da qui, fino ad oggi una lunga serie di strazi e sofferenze». Il fiato che si spezza, nonostante l’ossigeno, le cure invasive che ti piegano non solo nel fisico. La paura di non venirne fuori, di lasciarci la pelle.
«Ma il terrore più grande è il pensiero di chi ti è stato accanto – prosegue –. A chi l’avrò trasmessa? A quante persone avrò causato tutto questo male? E poi il pensiero di mia figlia, che ancora oggi mi devasta l’anima. Qui chiusa in questa stanza di isolamento. Dove comunichi solo attraverso un vetro con citofono. E quando entrano medici, infermieri e personale delle pulizie, sono sempre in tenuta da marziani. I giorni e le notti passano nello stesso modo. Tra sofferenze e paura. E pensi a quanto siamo impotenti. Da quando mi sono ammalata, inizio a vedere una lieve luce in fondo al tunnel. I medici dicono che sta procedendo bene, anche se il mio corpo dice tutt’altro. Ho le braccia piene di lividi, non mi reggo in piedi, ho ancora febbre e ancora non respiro senza l’ossigeno. Ma la ferita più grande è nel mio cuore. Perché io con molte probabilità ne verrò fuori. Ma tante persone non potranno mai raccontare ciò che hanno vissuto».
L'APPELLO
Sdraiata sul letto della stanza dove non può entrare nessuno senza una tuta antivirale, Antonella pensa anche agli altri e non solo a guarire in fretta: «È tempo che ognuno faccia la sua parte. Siate responsabili e collaborativi. Io, nella sfortuna, ho avuto la fortuna di vivere questo momento accanto al mio compagno. Ma chi entra in questo tunnel è solo. Ha accanto a sé solo la fede. Non sarò sicuramente la prima a raccontare la propria esperienza, ma forse se lo facciamo in tanti servirà a far capire quanto seria e grande è questa situazione! In bocca al lupo a tutti».