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SPERANZA da SPERANZA pubblicato il 9 Ottobre 2009 alle 17:34
RRO, ATTORI-DETENUTI E TEATRO IN CARCERE di Davide DE CRESCENZO (Intoscana.it) Con un pizzico di incoscienza, stretti nei loro jeans, non hanno avuto paura di confrontarsi con un mito della tragedia greca come "Ifigenia in Tauride", opera di Euripide il cui primo allestimento risalirebbe addirittura al 414 avanti Cristo. Gli attori-detenuti della Casa di reclusione di Porto Azzurro all'isola d'Elba - guidati dalla doppia regia di Manola Scali e Adriana Michetti - hanno portato sul palco un lavoro corale, riscritto sulle note e il taglio di un grande regista aretino come Massimo Castri, capace di andare oltre i limiti oggettivi di uno spettacolo che solo in parte ha risentito della cronica limitatezza delle risorse economiche disponibili per il teatro in carcere. Gli attori, per esempio, hanno recitato senza costumi con una scenografia scarna ed essenziale. Quasi in "contraddizione" con il nome datosi - "Il Carro dei Tespi" (semileggendario poeta e drammaturgo della Grecia antica, a cui viene attribuita l'invenzione della tragedia greca con la sepazione dell'attore dalla voce corale) - il gruppo teatrale reinterpreta e rafforza proprio il ruolo del coro, chiave narrativa e motore di questa performance teatrale. Sono loro, gli attori-detenuti, circa una ventina, con le loro specificitร  linguistiche ed espressive a dettare i tempi di una rappresentazione che ruota attorno alla appassionata interpretazione dell'unica vera e brava attrice (Lucia Monaco-Ifigenia) presente sul palco insieme a Giuseppe Insalaco nel ruolo di Morfeo, perno di un'architettura teatrale in cui trovano pienamente senso i sentimenti e le emozioni dei reclusi. Ed รจ proprio qui la parte piรน sincera dello spettacolo. La troviamo nella sofferenza di Ifigenia, scampata al sacrificio del padre Agamennone ma creduta morta, lontana da casa e prigioniera ormai di un ruolo (quello di sacerdotessa di Artemide in Tauride) che la porta a reiterare un barbaro rito di sangue contro tutti gli stranieri che approdano nella sua nuova terra e ad essere proprio lei, un tempo vittima, ora carnefice. Ma anche nella disperazione di Oreste, fratello di Ifigenia, accusato di matricidio e incaricato da Apollo di rubare una statua sacra ad Artemide e di portarla ad Atene per liberarsi dai tormenti e dai rimorsi. Senza dimenticare l'amicizia tra lo stesso Oreste e Pilade, compagno di avventure e sventure ("Il saggio sa cogliere l'occasione propizia") del figlio di Agamennone. Su tutto incombe fatale la sorte, positiva o negativa, la forza del destino che porta i due fratelli a ritrovarsi nella "prigione" della Tauride (Crimea), vittime di un destino avverso, ma in grado alla fine di fuggire dopo un riconoscimento che segna per loro l'inizio di una nuova vita nel segno dell'amore fraterno. Lo spettacolo, seguito da un pubblico composto da addetti ai lavori, studenti, insegnanti,volontari, familiari e disabili, si fa apprezzare per la partecipazione corale degli attori-detenuti e per le musiche, originali, composte dai ragazzi della scuola di musica di Donoratico. Restano alla fine i volti "liberati" dal teatro e "liberi" (almeno per un attimo) degli attori-detenuti e un generale senso di unione, quasi catartico, nell'atmosfera soleggiata di un carcere-fortezza affacciato da secoli su uno degli angoli piรน belli della Toscana. giovedรฌ 8 ottobre 2009 - 01.05 DEDICATO A UNA RAGAZZA DI CAPOLIVERI GRAZIE PRIANTI
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